Dante Alighieri

Stiamo celebrando il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri. Certamente vi è noto che era stato battezzato nel “bel san Giovanni” di Firenze con il nome di Durante, che poi venne da subito contratto con Dante e con Dante lo conosciamo ormai da sempre. Ci è nota, anzi universalmente nota, la sua opera maggiore “La Divina Commedia”, titolo che ha assunto successivamente per il fatto che si tratta di un percorso drammatico che si conclude positivamente, proprio come la commedia greca a differenza della tragedia che ha una conclusione negativa. Dante ha scritto altre opere di notevole importanza che citerò più avanti. Per la verità non conosciamo la data precisa della sua nascita perché nelle chiese l’obbligo di registrare i battesimi, le cresime, i matrimoni, i funerali è è stato imposto dal Concilio di Trento (1545-1563). Ormai la data di nascita del poeta è fissata per tutti nel 1265 in quanto il viaggio immaginato e scritto nell’aldilà nella Commedia comincia “Nel mezzo del cammin di nostra vita” cioè intorno ai 35 anni; la formula iniziale del poema molto probabilmente deriva dal Salmo 89, 10: dies annorum nostrorum sunt septuaginta anni, aut in valentibus octoginta anni”. Poiché il viaggio dantesco si deve collocare nell’anno 1300, il primo anno santo della storia della Chiesa, a conti fatti l’anno di nascita di Dante deve essere stato il 1265, circa cinque anni dopo la famosa battaglia di Montaperti in cui si scontrarono la ghibellina Siena con la guelfa Firenze. Ma la battaglia che vide Dante giovane combattente impegnato fu lo scontro di Campaldino nel 1289 tra i guelfi di Firenze e i ghibellini di Arezzo. La guelfa Firenze sembrerebbe di un solo partito ed invece non era vero; a propria volta i fiorentini si dividevano in Bianchi e Neri e si scontarono spesso violentemente. Dante era del partito dei Bianchi e mentre era a Roma in un’ambasciata presso la Santa Sede andarono al governo nel 1301 i Neri che cacciarono da Firenze i Bianchi; da allora iniziò l’esilio di Dante vissuto per un ventennio sempre con il grande desiderio del ritorno nella sua Firenze, desiderio che non si è mai potuto realizzare. Il suo grande amore fin dalla prima adolescenza, poeticamente sublimato, era per una ragazzina di nome Beatrice, che morì molto giovane e che ritroviamo in diverse opere dantesche e che ritroviamo come simbolo della Grazia Divina nel Paradiso della Commedia. Dante sposò una certa Gemma della famiglia dei Donati della fazione dei Neri, mentre i Cerchi capeggiavano i Bianchi, la fazione in cui militava Dante. Su capisce facilmente che anche allora la confusione politica era massima; e quella confusione era spiegabile con la ricerca di potere e di denaro e purtroppo era alimentata dall’opera attiva di Papa Bonifacio VIII che parteggiava per i Neri.

Ricordo molto succintamente le principali opere di Dante: il De vulgari eloquentia (in latino; una notevole sollecitazione all’uso volgare come lingua comune parlata e scritta), il Convivio (un trattato di filosofia in volgare), De Monarchia (un trattato di politica nella ricerca di un governante laico capace di assumere la guida degli Stati che si andavano affermando), molte poesie in forma di sonetto. L’opera giovanile “Vita Nova” (novus in latino significa soprattutto ultimo; narra l’amore per Beatrice ed è questo amore chiaramente sublimato che dà una svolta radicale alla vita. La donna, nel “dolce stil nuovo”, diventa colei che è stata mandata “da cielo in terra amiracol mostrare”, cioè una creatura angelica, inviata da Dio sulla terra per ricondurre gli uomini al bene. Certamente Dante è vissuto in un momento particolarmente difficile della storia dell’Europa e Firenze era certamente un luogo particolarmente sensibile all’evoluzione politica e sociale che si stava affermando. In particolare ricordiamo che una decisa impostazione teocratica si era imposta con un grande Papa agli inizi del 1200, Innocenzo III: la fonte del potere stava nel Papa come derivante da Dio stesso e il Papa delegava l’imperatore nell’amministrazione politica; le premesse di questa concezione c’erano già state nello scontro feroce e drammatico tra Papa Gregorio VII e l’Imperatore Enrico IV nella seconda metà dell’undicesimo secolo, ma la teorizzazione è avvenuta con Innocenzo III. Questo Papa aveva una visione molto chiara in merito: aveva preso in cura il bambino Federico II, il cui nonno era Federico I il Barbarossa, il padre era Enrico VI e la madre Costanza D’Altavilla che con questa unione sponsale avevano unito il Regno di Sicilia e l’Impero. Federico II era programmato da Innocenzo III come re di Sicilia con il preciso impegno che non sarebbe mai divenuto imperatore per non imbottigliare il Papa tra la Sicilia e la Germania. A Innocenzo III successe Onorio III, il papa che riconobbe l’ordine di S. Francesco e incoronò invece Federico come Imperatore. Di seguito fu eletto Papa Gregorio IX e lo scontro tra Papa e Imperatore si rinnovò feroce soprattutto perché Federico, grandissimo imperatore, non mantenne la parola di effettuare la crociata, anzi furbo ed intelligente trattava di sottobanco con il Sultano. La Casa di Svevia si spense poco dopo la morte di Federico II nel 1250 allorquando i figli, illegittimo Manfredi e legittimo Corradino, furono sbaragliati ed uccisi. Dante si trova con un Papa, Bonifacio VIII della famiglia dei Caetani, che sinceramente non aveva capito la grande evoluzione che si stava compiendo e soprattutto si trattava di un papa che veniva accusato di simonia in quanto si diceva che avesse pagato i cardinali per essere eletto. Rimane comunque famoso il suo scontro con la Francia di Filippo IV il Bello e per il famoso schiaffo (vero o falso?) di Anagni fatto dal Nogaret inviato dal re francese. Ad Anagni, ove aveva casa la famiglia Caetani, Bonifacio VIII fu sconfitto irrimediabilmente dalla storia. Gli succedette nel 1303 per pochi mesi Benedetto XI e poi un papa francese che non ha mai messo piede a Roma, Clemente V, con cui il re Filippo IV concordò il passaggio ad Avignone; la nuova residenza papale, controllata direttamente dalla Francia, che durò fino al 1377 con conseguenze enormi tra cui il cosiddetto “scisma d’occidente” per cui ad un certo punto c’erano in contemporanea ben tre papi; a questo scandalo pose fine nel 1417 il concilio di Costanza. Dante è vissuto in questo periodo tanto travagliato che lo vide notevolmente impegnato non solo nell’ambito letterario ma anche in quello politico tanto che la sua vita fu tormentata per un ventennio fino alla morte avvenuta a Ravenna nel 1321 presso i Da Polenta.

Oltre alle opere citate in antecedenza appare fondamentale “La Divina Commedia” che immagina il suo percorso nell’aldilà nell’anno 1300 durante la settimana santa, in particolare nel triduo pasquale. Francesco de Sanctis pone quest’opera come il vertice universale della letteratura poiché in essa converge in sommo grado in una mirabile sintesi il contenuto e la forma. La composizione risulta il frutto dantesco iniziato nel 1308 e completato alle soglie della morte avvenuta a Ravenna nel 1321, nel periodo dunque del suo pellegrinare da esiliato, in particolare presso Cangrande della Scala a Verona. La Divina Commedia è veramente una “summa” in cui converge il sapere enciclopedico di Dante espresso in quella lingua del volgare che ha trovato nel Poeta la sua affermazione definitiva. Il volgare secondo De Sanctis si era affermato in modo chiaro e definitivo con il Cantico delle Creature di S. Francesco, preceduto dalla scuola siciliana di Federico II e si affermava agli inizi del 1300 con quel “dolce stil nuovo” che trova grandi interpreti come Guido Guinizelli e poi il grande amico di Dante Guido Cavalcanti.  Il viaggio dantesco è un grande sogno di una visione universale del mondo. In quest’opera noi troviamo una grande sintesi di tutti il sapere di allora: Sacra Scrittura. Teologia, Filosofia, Letteratura classica greca e latina, Scienze naturali, Astronomia, Cosmologia, Geografia, Matematica, Geometria, Storia e perfino Cronaca di autentica attualità. E’ un’espressione mondiale valida per ogni tempo; si tratta proprio di un viaggio universale. Si capisce facilmente che l’opera è frutto di una vita teologicamente interpretata: vi appare la concezione di Dante del potere politico capace di guidare la storia delle nazioni che si andavano affermando, una concezione del papato altamente spirituale e conseguente all’insegnamento di Gesù Cristo. Oggi abbiamo ripreso un termine di origine greca “parresia” che significa: dire la verità con schiettezza. E’ entusiasmante seguire la Divina Commedia con l’uso che fa Dante della parresia, della schiettezza, della limpidezza del giudizio senza imbrogli e falsi pudori. Dante non teme di dichiarare che all’Inferno c’è l’attesa di papa Bonifacio che si dovrà trovare tra i simoniaci con le gambe all’aria spingendo più solo un altro papa, Nicolò III; soffre per l’amore frustrato di Paolo e Francesca (canto V dell’Inferno); prende Virgilio a guida suprema come intelligenza e saggezza umana nell’Inferno e nel Purgatorio; ha bisogno di Beatrice, bellissima immagine della Grazia divina, per entrare nel Paradiso; invoca l’aiuto di Lucia, la santa accecata protettrice degli occhi, immagine della fede quale luce necessaria per affrontare Dio Uno e Trino; stupendo il canto XXXIII del Paradiso ove s. Bernardo supplica la Vergine di aiutare Dante a incontrare Dio che viene descritto con l’immagine geometrica dei due cerchi uniti dal terzo cerchio in mezzo rosso fuoco (il Padre e il Figlio uniti indissolubilmente dall’Amore dello Spirito Santo) ed un cerchio è toccato dalla tangente dell’umanità (Cristo). E pensare che il pensiero illuministico, specialmente francese, aveva valorizzato al massimo quel cosiddetto risveglio chiamato “Renaissance” (in italiano: Rinascimento), iniziato con l’Umanesimo del 1400, che aveva riscoperto l’autentica identità dell’uomo attingendo alla letteratura classica con la depurazione dalle incrostazioni del cristianesimo. E sempre quel pensiero illuministico aveva racchiuso i mille anni di storia cristiano-europea in un periodo di transizione con il nome spregiativo di “medio-evo”. Questo periodo, sottostimato come buio, ci ha dato la grande teologia tomista, la riscoperta della filosofia aristotelica, la preziosa conservazione libraria della classicità con gli amanuenses dei chiostri monastici. Se queste sembrano cose da poco per noi attuali vale la pena di rileggere di Umberto Eco “Il nome della rosa”, un grande panorama dell’intensità culturale del Medioevo, anche se l’Autore mostra simpatia per la linea nominalista (Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus). Vi assicuro che ormai da moltissimi anni mi leggo e rileggo la Divina Commedia e vi trovo sempre ampi settori che non avevo ancora notato o capito integralmente. E su questa linea intendo proseguire. 

DAF